giovedì 10 aprile 2008

Il tappeto è anche un film

L'uomo attraversa foreste di simboli
Che l'osservano con occhi familiari.
I profumi, i colori e i suoni si rispondono
Come dei lunghi echi, da lungi si confondono
In una profonda ed oscura unità,
Vasta come la notte e come la luce,
(Charles Baudelaire, Correspondances)



Non c'è bisogno di essere un sommo poeta come Baudelaire, per accorgersi delle "correspondances" tra gli eventi più vari della realtà, esteriore ed interna. Questa stessa percezione, o consapevolezza, è universalmente diffusa ed esplicita in tutte le culture primitive ed è impropriamente chiamata Magia. Come tale, è deprecata nelle persone normali ma è invece tollerata negli artisti. Baudelaire infatti, è apprezzato come poeta, per cui gli si perdona la condotta deprecabile della sua vita poco normale.

Osservo a lungo una foto del tappeto Boujad detto "il Viola", che ho appena ceduto a Daniel Spörri, l'artista celebre per i suoi ribaltamenti di Table in Tableau, cioè di tavola imbandita (Table al femminile, e orizzontale) in quadro pittorico (Tableau al maschile, e verticale). Naturalmente Daniel, prima di ribaltare, incollava posate, piatti, bicchieri e avanzi di cibo, perché non gli franassero per terra.
Avevo scattato la foto del "Viola", quando il tappeto stava con me ma non l'avevo mai bene osservata: mi gustavo assai meglio l'originale. Adesso che il Viola non sta più con me, mi trovo a scrutarne la foto con diversa e maggiore attenzione.
Anche qui ci sarebbe qualcosa da dire sulla percezione o consapevolezza: il tappeto è normalmente impercettibile nella stessa maniera di una foto o di un dipinto.
Questa differenza nelle percezioni è dovuta a un fatto fisiologico e posturale: non si può percepire un oggetto sul muro come il Quadro (e su un muro virtuale, ci sta anche la Foto) alla stessa maniera in cui si percepisce un oggetto steso al suolo come il Tappeto, che pure è, tradizionalmente, occupato da persone, tra le quali sta lo stesso osservatore. Rispetto a questa norma percettiva, la visione del Tappeto in museo è ovviamente un'eccezione.
Rispetto alla Foto e al Museo, la percezione domestico-borghese del tappeto è invece limitata da un differente distacco spaziale o, in termini umani, psicofisiologico. Da una parte, il con-tatto diretto con la pittura è vietato perché la si potrebbe contaminare con qualche impurità: qui si avverte qualcosa di sacro nell'arte. D'altra parte, nel tappeto si avverte qualcosa di impuro o di antigienico, il che è dire lo stesso in termini scientifici. Per questo, è vietato toccalo o, ancor peggio, è vietato sedersi o sdraiarcisi sopra. In questo caso non è più l'oggetto ma è il corpo, o il soggetto, quello che rischia di contaminarsi con elementi impuri: polvere, acari e microbi.

Dicevo che guardando la foto del Viola, ho dato al tappeto un "colpo d'occhio" completamente diverso: non solo una visione panoramica, anche una sequenza di inquadrature, colpi dì occhio in sequenza come in un film. Proverò a raccontarlo, senza alcuna pretesa di oggettività: ciascuno proietta le sue esperienze e le sue aspirazioni sulla pellicola che è proiettata. E' un fatto anche questo di "corrispondaces".

my boujad rug  07


Primo Tempo. Dopo un preludio di note introduttive, in primo piano, all'inizio del tappeto, si allarga una sorta di medaglione ma evidentemente, il regista non padroneggia o non si interessa troppo del canone compositivo dei medaglioni concentrici. La sua prima inquadratura sembra imitare ed ingigantire un motivo di origine anatolica, direi, senza spingermi oltre e ancor più a ritroso, rispetto alle avanzate turcomanne dall'Oriente.
Invece, il nostro tappeto Viola è tessuto nell'estremo Occidente: nel Paese del Tramonto, che è in Arabo "El Mahgréb" ma che noi si pronuncia Morrocco o Marocco. Precisamente, il tappeto è tessuto a Boujad, dove una cultura berbera precede e sopravvive alle avanzate dall'Oriente. Tant'è vero che, al centro di quel medaglione importato e raffazzonato, si vede proprio un Sesso Matrixiale, pur se adombrato da fronzoli gialli perimetrali. E pure ai lati, volendo interpretare, si schierano ancelle della Dea Madre, magari le Nuore.
Secondo Tempo o se preferite, in secondo piano o meglio ancora su al secondo piano. Il campo si alza e si allarga per inquadrare una serie di figure e di personaggi, riuniti come ad una festa familiare, la piazza di un mercato o una moschea. C'è chi ha dei canestri o delle anfore in capo e chi alza le braccia. Stanno attorno a qualcosa che non è un medaglione concentrico ma è piuttosto una forma che si erige e sviluppa come un virgulto o lo zampillo di una fontana o il profilo di un enorme lampadario da moschea.
Terzo Tempo o terzo piano. Il campo si innalza ulteriormente ma si restringe come in uno zoom. Ricompare il Sesso Matrixiale senza più fronzoli perimetrali e neppure inquadrato dentro il recinto del medaglione. Così è libero di accrescersi oltre misurata. Se prima il Sesso era completamente bianco, adesso non ha più quel candore virginale ma è gravido di forme e colori in gestazione.
Un falsh back che inquadra l'intero tappeto, ci rivela un'evidente simmetria tra le due apparizioni del Sesso Matrixiale. La simmetria che si incentra sull'asse della figura centrale di virgulto o zampillo o, diciamolo pure, di Sposo a cavallo, che avanza di fronte verso lo schermo, infiocchettato nel costume nuziale.
Mentre al di sopra, o dopo, il Matrixiale gravido non è più fiancheggiato più da Nuore ma da due tozze croci. Queste due croci sono, con il medaglione iniziale (e con il sorprendente finale, che ora non posso ancora rivelare) le sole forme dai contorni diritti in tutto il tappeto: tutto il resto ha dei contorni obliqui.
Ora una nota, diciamo, tecnica. L'aggregazione creativa dei nodi si sviluppa nel tappeto, e spontaneamente, in forme diagonali. Chi tesse può trascegliere linee direttrici diagonali che derivano (e deviano) dal concreto reticolo di base, creato dall'incrocio della trama con l'ordito. Ma diverso è il supporto nei tatuaggi: l'epidermide non ha di tali griglie, è allora il coltello che inventa gli incroci mentre li incide con simmetria. E perciò, qui le due croci sono tatuate sulle guance del tappeto, come su quelle delle spose berbere e l'Antropologo è libero di aggiungervi marchi ulteriori d'identificazione.
Poi il film si avvia a concludere con due catene o due carovane di figure matrixiali minori che si allontanano in parallelo. Rispetto allo spazio, le carovane sono ascendenti ma, siccome ogni tappeto si tesse verso l'alto, le figure superiori sono più recenti, perciò, in senso cronologico sono discendenti. Attorno a ogni catena delle Discendenti che si allontano, si aggirano le forme dei futuri Sposi.
C'è infine l'inatteso titolo di coda di una scrittura indecifrabile ma che è indubbiamente, di carattere latino e non arabo. Escluderei perciò, si tratti di una firma, che del resto, sarebbe del tutto inusuale. Piuttosto può darsi che l'artista qui si ispirasse a un cartello stradale o all'insegna di un negozio. Del resto, lo faceva anche Rimbaud, poeta e collega di Baudelaire per le "correspondances" tra gli enti e i livelli più vari della realtà, inclusa, ovviamente la propria psico-fisicità.

Certe figure e composizioni tessili, pur nella loro astrazione, "corrispondono" (nel senso di Baudelaire) a certe scene che l'artista ha salvate in memoria. Non soltanto a scene ottiche: la memoria si situa nel cervello ma anche in tutto il resto del corpo. Nel nostro caso, le mani che tessono, possono ispirarsi al battito di un ritmo musicale.
Una qualsiasi scelta formale non implica per forza l'adesione a un esplicito e univoco valore simbolico, che sarebbe religioso in caso di moschee, antropologico in caso di spose, eccetera. Naturalmente. le mie letture univoche del tappeto Viola sono limitate e condizionate dal distacco che impone la fotografia: non stavo sul tappeto, guardavo la sua foto come un film!
Un artista, anche o soprattutto se primitivo, può adottare una forma che appunto, "corrisponda" ad una qualsiasi altra realtà concreta od astratta ma sempre percepita nel corpo, perché chi percepisce è sempre tutto il corpo. La coscienza ne è solo il ragioniere, forse arrogante ma è sempre un dipendente.
Personalmente, e senza neanche accorgermi, c'era un paesaggio che mi ha ispirato a tessere: era il paesaggio agrario che mi circondava, Non solo lo vedevo, ne ero immerso: percorrevo con i piedi i suoi tracciati, sui confini tra i campi, i boschi e filari, tutti improntati di tradizione, di moderna agritecnica, di regime ereditario dei fondi, oltre che dalla famosa Natura. Poi a casa tessendo, credevo che il mio piccolo campo si limitasse al telaio, lì dove la mia mente giocava con le mani. Per fortuna nel mondo, c'è molto di più, e altrettanto, nel telaio e nelle mani. La mente è un eufemismo, come la realtà.

>>> Leggi anche "La Tessitura NON è quello che pensi".

1 commento:

Alberto De Reviziis ha detto...

Carino quel tappeto. Semplice, sintetico, ma di effetto suggestivo, ricorda un po i Malatya turchi.

Un saluto.