mercoledì 23 ottobre 2013

Ultima udienza a Vicenza



Vicenza, sabato prossimo 26 8bre ore10. Sto nel panel di “INCONTRO CON L‘ARTE TESSILE” - tavola rotonda Presso le Gallerie d’Italia - Palazzo Leoni Montanari − Contra’ S. Corona, 25.
Personalmente,  offrirò ferri da BrandaMaglia, da me stesso foggiati, per chi non avesse voglia di farsene da sé. Offro anche copie del mio sacro libro "L'Essere e il Tessere". Autografo gratis ma solo sui libri: sui ferri non ci riesco.
L’appuntamento, al quale parteciperanno gli artisti che espongono ad “ARAZZI NEI PALAZZI”, è organizzato da Fiera di Vicenza con la collaborazione del “Coordinamento Tessitori”.
http://www.abilmente.org/nqcontent.cfm?a_id=3115

domenica 20 ottobre 2013

Catalogo 2013



set5

Photoset 

a Porchiano del Monte
per la mostra "Arazzi nei palazzi"
Vicenza, OCT 2013



martedì 1 ottobre 2013

Backstage Mostra Vicenza



Vicenza, 1 Ottobre 2013



Palazzo Barbaran da Porto e Loggia Capitaniato in Piazza dei Signori. Backstage del mio allestimento per la Mostra Arazzi Nei Palazzi, che inaugura sabato pv 5 ottobre alle 11,30. Palazzo Leoni Montanari (detti Puma dagli Indiani), Contrà Santa Corona 25, Vicenza.



Chi mi ama o compatisce, accorra a sostenermi, PRIMA del copioso buffet. Grazie.

venerdì 20 settembre 2013

BrandaMaglia vicentina, 11 0ttobre

Venerdì 11 ottobre - intera giornata
“Brandamaglia” - performance di Luciano Ghersi presso la Loggia del Capitaniato di Piazza dei Signori, nel contesto dell’installazione “Global Home”


La “branda-maglia” è un modo originale di tessere molto coinvolgente e di semplice realizzazione, ideato dall’artista, utilizzando strumenti diversi dal telaio. Un modo divertente per realizzare in gruppo, sciarpe, cappelli, collane, accessori con lane di scarto recuperate in casa. Alla performance parteciperanno studenti, disabili e operatori delle cooperative sociali.

L’ingresso è libero e gratuito.


vedi alla pagina

Che cosa mostro in quest'altra mostra

Luciano Ghersi, 2013
Che cosa mostro in quest'altra mostra
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Più di trent'anni or sono, un noto gallerista milanese mi offrì di allestire una mostra dei miei lavori tessili, che in sostanza erano tappeti ma già allora si mostravano diritti come arazzi o tappezzerie murali. In quel torno di tempo, anche il noto Missoni esponeva a Milano i suoi arazzi, che in sostanza erano Quilt cioè come dei mosaici, composti da ritagli della sua pregiata maglieria.
I cosiddetti Arazzi, di Missoni o miei, erano allora (e tuttora) articoli insoliti a mostrarsi in gallerie, cioè in ambienti destinati alle mostre di pittura. Forse per questo, il gallerista mio mi propose di comporgli un breve saggio esplicativo, che poi fu intitolato "Cosa mostra questa mostra" 1) ed imposto agli ignari visitatori. Non ce la si fece lo stesso: fummo sconfitti dalla spietata legge di mercato, che recita: "L'arazzo non si vende che da Lugano in su."
Pure in quest'altra mostra di Arazzi nei Palazzi, in sostanza ci mostro dei tappeti, sebbene etichettati come opere tessili (mai più come Arazzi), ed altre opere tessili come: una poltrona, una bicicletta e un piccolo telaio da tappeti, concepito e costruito da me stesso, e dunque opera tessile di tessitore (ed opera importante forse più del tessitore, come qui si potrà leggere).
Occorre forse intendersi sul termine "tappeto" e su quello di "arazzo". Per le sue modalità di installazione, Tappeto è un'opera tessile che sta principalmente sopra un pavimento e, nelle culture nomadi, al suolo di una tenda, cioè tendenzialmente orizzontale. Arazzo invece, è un opera tessile che si espone verticale come i quadri e la pittura in genere, questa regina delle belle arti, che sono distinte dalle arti applicate, dette anche minori... ma senz'altro inferiori. L'Arazzo evoca l'Arte per il suo rapporto equivoco con la pittura (sul quale torneremo) mentre invece il Tappeto ci fa pensare inequivocabilmente all'Artigianato. il mio problema di reputato artista è che ho sempre cercato di raggiungere il livello creativo di un autentico artigiano... ma a parte la questione personale, l'equivoco è storico e culturale.
Si sa che l'Homo Sapiens si allontanò dall'utile (dal cosiddetto Utile) nel Paleolitico: con l'invenzione del celebre scalpello, che fu letteralmente e forse, letalmente, la prima pietra della cultura umana... anche se pochi umanisti sono disposti ad ammetterlo. L'Homo di allora non aveva affatto il fisico né dentatura né apparato dirigente del Predatori ma volle imitare i carnivori e probabilmente, ingraziarsi la femmina. Allora si inventò di scheggiare le selci, ottenendo quel margine tagliente che gli permise di scarnificare le carogne avanzate dai Predatori autentici. Da ciò proviene il Mito dell'uomo cacciatore... che di fatto era soltanto uno sciacallo, con la protesi dentaria del suo ciottolo scheggiato in ossidiana. Ma si vede che alla femmina esso piacque, insieme coi brandelli di carcassa che l'erano offerti, sicché il Mito e il Tipo del cacciatore si perpetuarono. E' naturale sì... ma è indubbiamente pure culturale.
il Tappeto ha invece la sua origine nelle culture nomadi che, esattamente come certe Arti, sono ovviamente stimate minori o inferiori. Sembra che i Nomadi inventassero il Tappeto con l'obiettivo "utile" di isolarsi dalla fredda superficie delle steppe. I Nomadi non usano di sedie, che sarebbero d'ingombro al nomadismo equestre o cammellato, ma preferiscono sedere a terra con le gambe incrociate, sopra tappeti appunto, che gli scaldino le natiche (l'avvento delle sedie sarà indagato oltre).
Intanto osserviamo che i Nomadi hanno pure dei tappeti esposti in verticale alle pareti della tenda. Ciò banalmente, può giustificarsi col succitato isolamento termico. Ma i Nomadi hanno tappeti ulteriori, che essi cuciono in foggia di sacchi, ove stivano granaglie, indumenti e ogni loro fabbisogno per la vita quotidiana. Quando i tappeti a sacco non vanno su cammello, possono stare ritti nella tenda, tutti accostati come un colonnato, panciuto e poìicromo, che  funge pure da parete attrezzata, non essendovi cassetti né mobilia nelle tende.
Essi fanno per sè altri tappeti, acconciati come borse, selle e articoli molteplici, per la cui utilità non sarebbe necessario di essere tappeti. Ma l'essenza di Tappeto è loro necessaria per dei motivi inutili, cioè culturali.
Si può dire che le culture nomadi, dal Mahgreb alla Siberia, siano tutte ossessionate dal Tappeto, che esse nutrano per esso una morbosa attrazione culturale. Il succitato isolamento termico è soltanto un pretesto funzionale: un po' come l'automobile o il telefono mobile, che sono pure oggetti più che altro culturali ma che, oltre l'efficacia normativa e identitaria , sono scarsamente utili e persino nocivi... per lo meno rispetto ai tappeti, che non hanno mai fatto del male a nessuno, se non quando arrotolati per nascondervi un sicario.
Al principio, il Tappeto fu artifizio delle femmine, che manipolavano, tingevano e tessevano il pelo del bestiame di famiglia. Quest'artifizio piacque, sicché si perpetuò, assurgendo a livelli di estrema raffinatezza. Infatti, alcuni dei rozzi Pastori, da capifamiglia che erano, poi vennero a capo di imperi: dalla Cina alla Persia e la Turchia, fino in Andalusìa. E tutti ancora e sempre, con la fissa del Tappeto, però sempre più prezioso e raffinato: sfoggiare il lusso era allora imperativo. Inoltre mentre prima, su dal fondo dei tappeti primitivi, emergevano segni e disegni femminili, invece dopo, all'epoca Imperiale, le femmine furono al massimo addette al lavoro manuale:  ogni disegno fu compito esclusivo di artisti e pittori di corte. Il disegno del tappeto fu da allora concepito mentalmente, poi tracciato ed espresso su carta ed infine ricalcato, nodo a nodo, nel tappeto. Una rivoluzione culturale insomma... con il mito del potere imperiale in filigrana e in superficie: ci si afferma il fallo/logos, il fallogocentrismo di Derrida e soci.
Gli Arazzi invece, stanno proprio di casa nei palazzi del Potere,  o pure in Chiesa, non fa molta differenza: sempre in possenti opere in muratura e rappresentative di un potere verticale. Sicché pure gli arazzi, tutti quanti sull'attenti. mai più giù come tappeti.
Dalle chiese e palazzi, gli arazzi si spostavano pure. Corbusièr che, a suo garbo, disegnò vari arazzi, sostiene che un arazzo è "l'affresco portatile per i nomadi moderni": colti e stimati professionisti, soggetti anche a migrare per appartamenti urbani. Per loro, l'arazzo sarebbe una sorta di pittura pieghevole, che può arrotolarsi come uno schermo video e trasferito ad altra dimora. Questa storiella promozionale non si è poi rivelata troppo convincente, per lo meno non a sud di Lugano, come seppe il gallerista milanese... che però era svizzero. E fu proprio l'origine svizzera che l'indusse al gesto sconsiderato di presentare a Milano una mostra di arazzi per quanto, sotto sotto, si trattasse di tappeti.
Sostanzialmente, a differenza del Tappeto, l'Arazzo non è ma racconta soltanto. Il Tappeto può mostrare certi concreti segni tribali oppure aleatori individualmente... ma sempre decifrabili accademicamente da semiologi, antropologi o psicoanalisti...). 2) Al contrario, l'Arazzo non manipola segni concretamente materici ma disegni pittorici, per il cui mezzo rappresenta una storia e più volentieri un Mito, cari comunque al committente dell'arazzo. Tal era infatti, la storia dell'Arazzo. Quando poi l'Arte Contemporanea si affrancò dal servaggio ad ogni forma e tecnica, pure l'Arazzo le teneva dietro. Così come la Pittura, pure l'Arazzo perse il suo sussiego di raccontare Storie e rappresentare Miti. Dopo il crollo degli Imperi con i relativi Miti, il Potere si redistribuisce periodicamente non più con periodiche guerre o usurpazioni ma di preferenza, con manovre finanziarie. Di violenza ce n'è sempre ma non deve comparire sulla scena, questa è tutta impiegata per rappresentare il possesso di oggetti di valore, il che dà sempre Credito perché lo presuppone. Dal tramonto degli Imperi, il nuovo mito non è sangue né oro ma più semplicemente, un luminoso Credito... sempre insieme con l'oscuro ma indispensabile Debito.
 L'opera d'arte corrente di conseguenza, si adegua ed attesta il Mito moderno del Credito. Il suo valore consiste nel credito d'Autore: nel di lui prezzo quotato in mercato. Ciò non ostante,  l'autonomia creativa dell'Artista (corrente o fuori corso non importa) oramai è assoluta per principio, pure nel caso si creino degli arazzi. Sicché oggi, per gli Arazzi nei Palazzi, le artiste compagne di mostra mostrano raramente arazzi veri e propri, tipo quelli di Carlo il Temerario... né  mi dispiace affatto.
Quando Carlo il Temerario di Borgogna trasferiva la sua corte nei siti più opportuni alla conferma del proprio dominio, si portava arrotolati i propri arazzi e colà li tendeva e ostentava opportunamente: nelle foreste dove gli rizzavano i suoi padiglioni di caccia o in grandi piazze addobbate a tornèo. Non c'era ancora cine né televisori, il popolo guardava a bocca aperta, se ne impressionava e, apprezzando ogni disegno e il prezioso lavoro impiegato per realizzarlo, era indotto con dolcezza all'obbedienza di Carlo il Temerario suo signore. Poi l'arazzo giocò un ruolo rispettabile sulla scena del potere rinascimentale, barocco e fin anche sovietico. Più di recente, gli arazzi si appendono pure dentro le Banche. Una celebre arazziera contemporanea deve in parte la fama al suo matrimonio con il Direttore di una Banca di Stato. Però la mia scelta di esporre tappeti, invece che arazzi, in questa mostra Arazzi nei Palazzi, non è meramente politica.
Non ho esperienza tale da produrre un tappeto perfetto a regola d'arte tradizionale. Né mi curo più fibre o di tinture di naturali: ogni materiale è buono, a partire dal più vile, dagli involucri in plastica evacuati dal circùìto dei consumi come rifiuti, fino agli stracci più o meno preziosi... ma sempre stracci sono, indiscutibilmente. Credo che l'Arte (mi si passi la parola) non possa limitarsi al trattamento di materiali nobili e possibilmente durevoli: qualsiasi materiale è compatibile con l'arte, pur lo sterco di elefante presentato in Venezia alla Biennale.
Il trattamento artistico (diciamo) degli stracci e persino della plastica non è una mia trovata avanguardista o ecologista ma è invece, una pratica corrente nell'arte tessile contemporanea di officina popolare. Attenzione: un "Boucherouite", che è il tappeto di stracci di uso popolare nel Marocco, può oggi valere migliaia di euro, pure se gravemente danneggiato. Se Boucherouite è una tipologia, in questa mia mostra ce n'è vari esemplari: anche la Bicicletta cui accennavo sopra, è a suo modo un Boucherouite... ed è pure un pezzo autentico perché è realmente e lungamente usato, fabbricato per gli usi di famiglia, non per un committente né per un mercato. 3)
Tornando propriamente sul Tappeto, per quanto mi concerne, non eseguo un disegno preventivo ma sviluppo solamente certe tracce di figura tra le varie brulicanti allo stato nascente del tappeto. Non sono neppure ispirato da moduli figurativi tradizionali sebbene ne emergano spontaneamente, perché sono provocati dall'apparato statico e dai ritmi dinamici del telaio stesso. E' lì che sta il cuore della creazione ed è ad esso che cerco di adeguare i miei gesti operativi... altrimenti, non si suona di strumenti.
C'è un processo creativo squisitamente artistico (mi passi l'equivoco aggettivo), che si esprime nella tecnica gestuale di annodare e di tessere un tappeto, anche se, e soprattutto se, non si tratta di copiare dei disegni programmati sulla carta. E da artista, quale sono reputato, fui sempre appagato e spiritualmente felice nell'applicarmi al mestiere dei tappeti. Per questo ho ritenuto che valga la pena di esporre i miei volgari tappeti in questa mostra di Arazzi nei Palazzi.

SALA DEI RITRATTI
I tappeti che ho sospeso nella Sala dei Ritratti sono anche un omaggio a Bruno Munari. Per l'equilibrio dei mobili sospesi, ho infatti utilizzato una tipologia di Macchina inutile inventato da Munari (e non da Calder). Ho aggiunto l'accessorio di un ventilatore, per movimentare la scena, e una colonna sonora che spero gradevole, realizzata dal mio Musico in totale autonomia. La scelta di installare tappeti diciamo, volanti nacque dal fatto che questi lavori hanno due facce come le monete. Sicché, mentre che girano, si possono ammirare tutte e due le facce, infatti quel lavoro è chiamato Double Face. Questi tappeti (tecnicamente: "Kilim") sono pure traslucidi perché sono fatti di film trasparente per imballaggi, più o meno colorato ma sempre di recupero. Con l'opportuna illuminazione, si dovrebbero ottenere effetti controluce, rifrazioni e proiezioni sulle pareti. Le pareti alla Sala dei Ritratti sono particolari, contenevano in origine i ritratti di famiglia dei padroni del palazzo.... il che rese questa sala l'ambiente più uggioso per tutti gli ospiti, sebbene fornito di un enorme camino, di officina dubbiamente palladiana.
Oggi però, tutti i quadri sono stati rimossi e ne restano soltanto delle cornici bianche, modellate alla parete con lo stucco. L'unico piano liscio in tutte pareti è appunto il vuoto lasciato dal quadro, tutto il resto non è altro che una griglia delirante di modanature, di officina forse tardo-palladiana. A 8 metri di altezza, oltre i tappeti che girano per l'aria, c'è una volta incombente di affreschi rutilanti, che terrei ad oscurare. Rimuovo anche i tendoni da soffitto a pavimento, tutti graffiti di scritture palladiane ma che velano i vani delle finestre con certi antichi ed imponenti caloriferi, sicuramente post-palladiani.
Per descrivere la nuova situazione che si andava costruendo in questo ambiente, ho scritto al Musico che mi chiedeva lumi per sonorizzarle il set, questi appunti in forma di poesia.
La pittura non c'è più
ora c'è la tessitura.
I signori sono estinti
come i grandi dinosauri
Ai palazzi del potere
son volati i tappeti come rondini,
dalle tende dei Nomadi
di Mahgreb o di Mongolia
ma le greggi son scomparse
non ci resta che la plastica.

SALA SUCCESSIVA
La Sala Successiva contiene ciò che Alberto Boralevi (autorità mondiale in fatto di tappeti) ha chiamato il Tappeto Bicicletta. In sostanza è una bici di recupero, rivestita con cascame di cimosa delle stoffe industriali. il cascame si presenta in origine come una lunga striscia, alta un pollice circa, che fa un nastro peloso e sfilacciato. Avvolgendo strettamente questo nastro sulla bici, ho effettivamente ottenuto un tappeto con in pelo in rilievo e assai confortevole nell'inforcarlo. Purtroppo il prolungato uso ciclistico per una bella e fètida città d'Italia, lo espose al sudiciume metropolitano. Nonostante i lavaggi, il colore originale, di rosa ben sgargiante ha sbiadito e incupito mentre il pelo ha infeltrito. L'effetto originario, si intravede ora soltanto nelle zone sottoposte a restauro integrativo con inserti dello stesso cascame originale.
La bici è il veicolo tipico della libertà, che è pur libertà di tessere tappeti volanti: Come? tanto per cominciare, facendo volare la fantasia, fluidificando gli schemi mentali. Ma questo non basta, occorre pure sentire la bestia o diciamo la materia o diciamo le forme vitali ben presenti nei fili, ignorando progetti e disegni precostituiti. Come s'è accennato sopra, tutto questo processo produttivo si focalizza all'interno del telaio, il cosiddetto telaio tribale, che, in formato ridotto, sta esposto nella Sala ed, in formato ancora più ridotto, emerge come icona dal disegno informale di un altro tappeto qui esposto, che ha un titolo teatrale: Il Telaio nel Telaio.
A parte la bici, che può sempre montarsi e pedalare, tutti i tappeti esposti in questa sala sono dunque volanti com'è appena descritto, però stanno fissi al muro come degli arazzi. Soltanto un tappeto obbedisce al suo ruolo originario di Tappeto e se ne sta disteso quasi giù per terra: su di una pedana. Avrei fatto anche a meno di questa pedana, mi è stata imposta per motivi espositivi, perché servisse a distanziare il pubblico da un'opera ulteriore, pungente e rischiosa. E' una poltrona in ferro, che ho tappezzato con certe falde in filo spinato, da me stesso tessute in precedenza, grazie al classico e tribale telaio da Tappeto. Questo lavoro si chiama la Quarta Poltrona del Buon Governo perché le prime tre stanno dentro al Giardino di Daniel Spoerri, che è un noto parco di arte moderna. Invece questa quarta ha dimora nel Giardino di Ghersi a Porchiano, in compagnia di molteplice verdura. Poltrone di Governo chiaramente non agibili, perché forse il buon Governo risiede nel non-agire, come sta scritto nel Libro del Tao... o forse ogni Governo è di per sé malvagio.
Qui però, sulla pedana c'è dell'altro:  un tappeto è inserito sotto alla poltrona. Secondo quanto scrive Sheila Grunico:
"Nel suo Tappeto Sottoposto a Poltrona, certamente l'Artista volle alludere alla storia involutiva di quell'umanità, che abbandonò la tradizionale postura accosciata (a terra, con o senza tappeto), per ridursi ad assumere la sedia come mezzo di riposo e di lavoro. Chi oggi siede a terra è guardato con sospetto, quasi avesse intenzione di meditare, di mendicare o di commettere azioni vergognose quali, ad esempio, massaggiarsi i piedi, sdraiarsi, magari a dormire di fronte a tutti... azioni che tra Nomadi e non solo, sono invece frequenti e rispettabili.
In origine, la sedia era un puro arredo di governo, riservato in esclusiva alla classe dominante per sua postura rigida nel cerimoniale. Da troni e da cattedre, tale postura poi divenne universale: fu un successo democratico e sociale? No, è piuttosto il retaggio maledetto di una classe abominevole, che è giunta a modellare il corpo di ogni suddito a propria immagine e somiglianza... "Oggi s'è arrivati al punto che un tappeto è sempre messo sotto i piedi", sembra concludere, amareggiato, l'Artista." 4)

NOTE
1) Ristampato in L'Essere e il Tessere, 1.7.
2) Paul Vandenbroeck, Marija Gimbutas ecc. Azetta. L'art des femmes berbères, Société des Expositions du Palais des Beaux-Arts, 2000.
3) LG, Dove volano gli stracci, in Stile Libero, Verolino 2012.
4) Sheila Grunico, ll solito Ghersi, inVanity Art, 1, 2013.

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lunedì 2 settembre 2013

Il Giardino di Ghersi 14/08/2013





Il Giardino di Ghersi
a Porchiano del Monte

anteprima inaugurale - sabato 14 settembre ore 17,45 - ingresso libero

Forse farò dal pulpito una predica agli ortaggi. Forse si mangia e beve, forse si suonerà... dipende anche da voi. Benvenuti in Giardino!
Ringrazio intanto, il Domino Collettivo di Porchiano del Monte per avermi concesso il recupero e l'uso  di questo vecchio orto, terrazzato e incastonato nella Macchia.

Mi inchino Daniel Spoerri, Gran Maestro di Giardino... però nel mio piccolo (≈ 400 mq), non ho impiantato bronzi né colato cementi: preferisco i monumenti fatiscenti.
Così ho messo insieme, senza neanche saldare, latta e ferraglia, che si trova in abbondanza per la macchia... e anche sassi, ugualmente abbondanti a Porchiano.
Rispetto al Gran Maestro, faccio un'altra differenza: ho impiantato pure molti ortaggi... e prossimamente tantissimi fiori.
Ultima differenza: non ho impiantato le targhette da museo che etichettano le opere. L'arte è sempre una parola troppo usata... se qui circola dell'arte, sarà tutta senza targa.

Mi pare insomma, un sito dilettevole e curioso... al limite, istruttivo. E' richiesta comunque, agli ospiti una vigile attenzione: c'è ferri rugginosi, aiuole coltivate, scarpate ed api che ci hanno fatto casa. Perciò non si possono ammettere cani né i bambini semoventi... in braccio invece, entrambi. Per gli stessi motivi di sicurezza, per il sito e per gli ospiti, gli apparecchi foto-video-telefonici sono invece inammissibili comunque.

Bici a parte, parcheggiate ogni mezzo in paese, conviene veramente. Dalla terrazza del Pincio, imboccate giù la strada per la Trinità. Dopo 90 passi, svoltate a sinistra per il bosco... dopo altri 90, sarete arrivati.

Benvenuti in Giardino!
Luciano Ghersi

Info 338 6762691 - Evento FaceBook: Il Giardino di Ghersi 14/08




lunedì 25 marzo 2013

Jail Rugs on Tapestry Topics, quarterly review of the American Tapestry Alliance

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domenica 3 febbraio 2013

Auto Vintage 1978-80

trittico 1978 dittico 1978 Trio detail Trio 1980

Lana con tinture naturali su ordito in cotone

Tappeti, automobili e sedie

note a margine di Cop-Rici-Sedile

Sul finire del secolo scorso, mi recavo nel Nepal per rintracciare un brigante di Venezia, e tintore di lane con erbe himalayane, che tesseva degli splendidi tappeti a Katmandu, all'insegna de Fontego (o fondaco) dei Tartari. Uscito di aeroporto, entrai in un taxi che aveva sui sedili dei piccoli tappeti, annodati a mano. Lo interpretai come un fortunato auspicio ma poi mi resi conto che questi tappetini stanno proprio dentro tutti i taxi nepalesi.
Vent'anni dopo, arrivo nel Sahara algerino e cii trovo altri tappeti nei ai fuoristrada dei profughi-autisti Saharawi, che mi portano a tessere per un nefando progetto di cooperazione (LINK).
Prima ancora di incontrare autisti Nepalesi e Saharawi, ho avuto mio padre che, di mestiere, stava molto al volante perché faceva il rappresentante. Il suo ambiente intimo, molto più di casa nostra, era la sua adorata automobile che, anche lui, decorava con curiosi accessori. Sicché, quando mio padre prese atto che questo suo figliolo appena laureato faceva il tessitore e non il professore, mi chiese di tessergli un bel tappeto per il suo sedile di guida.
Insomma, questa idea di infilare i tappeti nelle automobili non è davvero una novità. Certamente, in origine il tappeto sta in terra perché fu inventato da gente che sedeva per terra. Poi, non si legge come né perché, anche i popoli europei (che siedono più in alto, cioè sopra dei sedili) introdussero i tappeti nel loro arredamento. Azzarderei a scrivere un'ipotesi arbitraria ma che trova riscontri documentali negli archivi delle antiche sagrestie. Presumo che il tappeto fu introdotto in Occidente come un arredo sacro per gli altari della chiesa cattolica romana. Certamente, nell'iconografia dei tappeti orientali, si risconta ben poco di cristiano. Ma forse, ai Cristiani, gli tornava anche meglio così: non si calpestano i simboli sacri, è sacrilegio! E infatti, ogni croce fu ben presto bandita dai pavimenti a mosaico paleocristiani.
D'altra parte i Nipponici, astutamente, imponevano ai mercanti europei, che volessero sbarcare e commerciare nei loro porti, di camminare su immagini sacre del Cristianesimo. Così i Portoghesi cattolici non ebbero accesso al Giappone. Mentre invece gli Olandesi protestanti, che non tenevano ai Santi ed erano molto più tolleranti, passeggiavano tranquillamente sulle icone cristiane, intraprendendo fiorenti commerci con il Giappone. Poi oggi si parla di "civiltà moderna dell'immagine" come se fosse una gran novità... mentre invece l'immagine è proprio la radice di ogni civiltà.
Tornando alla questione del tappeto, può darsi che questo arrivasse in Europa con il bottino delle Crociate e si destinasse agli altari di chiesa ma pure ai palazzi dei Nobili. D'altra parte, i Re Cattolici che invasero la Spagna, non vi estirparono insieme con l'Islam pure l'arte del tappeto, che invece continua a fiorire per secoli, con gusto europeo, fornendo di arredi preziosi gli aristocratici laici ed ecclesiastici.
Poi si arricchisce anche il Terzo Stato, la famosa Borghesia, che finalmente avrà la facoltà di adottare i costumi e gli arredi dell'Aristocrazia, sempre da essa invidiata ed ammirata per la sua raffinata e lussuosa cultura... una cultura talmente raffinata da includere i tappeti orientali. Si espande così, in Occidente, la cultura del tappeto... fino alla odierna Ikea, dove si serve pure il Quarto Stato. Così oggi, il tappeto può infilarsi in ogni casa popolare. Mai nessuno qui, però ci si siede, perché prevale l'uso inveterato dei Nobili, che il tappeto avevano adottato, non l'uso dei Nomadi che l'avevano inventato.
Ammesso tutto questo, torniamo alle automobili, alla ricerca di qualche mediazione. L'automobile è sacra: è il massimo altare dell'attuale civiltà, che ammette e giustifica i sacrifici umani degli incidenti automobilistici e, ipocritamente, li chiama: incidenti stradali... come se fosse la strada ad uccidere e non le automobili. Così oggi, occorre infiltrare un tappeto artigianale nell'ambiente sacro e industriale dell'automobile: è un atto politico fondamentale! Ciascuno di questi tappeti bisbiglierebbe qualcosa di nuovo (e insieme, di antico) all'occhio e alle natiche di chi ci siede sopra: la tessitura è un fatto culturale ma la cultura è un fatto quotidiano. Non è sufficiente sostituire i quadri con degli arazzi tessuti:
nel ristretto ambito dell'arte, già si può quasi infiltrare di tutto, ma è assai più complesso ed ambizioso infiltrare gli ambienti quotidiani.
Oltre ai sedili automobilistici, occorre di occupare con dei piccoli tappeti anche i sedili statici: che siano questi privati o pubblici, domestici o pure ufficiali. Si dice che un amore straordinario può innalzarci 3 metri sopra il cielo. Intanto l'uomo bianco, e anche l'uomo di colore candeggiato, siedono sempre a qualche decimetro sopra il livello del suolo. Peggio ancora: si siedono a tavola nascondendoci sotto più di mezzo corpo: la cosiddetta metà inferiore. E' così che socializzano, convivono e stringono accordi internazionali: seduti attorno un tavolo ma sotto sotto, e segretamente, gli sporcaccioni si fanno "piedino". Se per caso, al di fuori della spiaggia, dove è lecita persino la nudità del piede, si incontra per caso qualcuno di aspetto civile che sieda per terra, viene spontaneo chiedergli se non stia facendo yoga o qualche altra esotica meditazione.
Si può anche sorridere anzi, si deve... ma senza tappeti, come fate a volare?