martedì 21 ottobre 2008

Mirabilis Plexus Retiformis

Luciano Ghersi

Mirabilis Plexus Retiformis
dall’abito al tessuto sociale, culturale e spirituale (1)

Questa mostra si intitola "E(r)go iperbolico, un viaggio dall’abito al tessuto sociale, culturale e spirituale". Al di sotto del titolo, è citato Cartesio, l'inventore del celebre motto "cogito ergo sum" (penso. dunque sono). L"ego" o il soggetto, che è sottinteso nella frase latina, si riaffaccia nel titolo di questa mostra con prepotenza, con l'attributo pure di "iperbolico". Quell'e(r)go però, si può anche interpretare in senso Greco, cioè come ergon (opera, lavoro). Questa allora sarebbe una mostra di opere iperboliche, o magari di lavori esagerati. Esagerare è talvolta necessario e pure assai piacevole, sebbene le arcigne misure del classicismo lo disprezzino in quanto è volgare. Questa è una mostra di arte più o meno tessile, un'arte che oggi è pure coltissima ma che indubbiamente, è di origine volgare e cioè popolare. E' dunque soggetta all'iperbole o all'esagerazione di un Canone Grottesco, antitetico al Canone Classico di misura, unità ed equilibrio (2).
Qui c'è una mostra d'arte in una galleria. Oggi sembra normale che le opere d'arte vengano esposte in apposite sedi speciali però non è andata poi sempre così: la galleria e dopo questa, il museo, sono invenzioni piuttosto moderne, ciò non ostante inducono ad atteggiamenti antichi e liturgici. Qui, posti al cospetto di misteriose icone dipinte, potremmo aggirarci titubando e tubando formule evasive di apprezzamento, nel timore essere presi per degli infedeli, per degli incapaci di accedere agli insondabili misteri dell'arte.
Per fortuna, questa mostra non mostra dei dipinti ma delle opere d'arti più o meno tessili e la tessitura è assai più accessibile della pittura: ce l'abbiamo tutti dentro come un codice genetico... Un po' come ci starebbe pure la "Traviata", secondo il maestro Riccardo Muti, che spiega in tal modo, quanto quest'opera ci è sia familiare. Perché anche senza averle mai realmente ascoltato una Traviata, le sue note sono ormai diffuse per ogni tipo di musica, non solamente in quella operistica.
La familiarità con il tessile ci va ancora più stretta di quella che avremmo con la Traviata, e non si limita al fatto banale che tutti, dalla culla alla tomba, siamo sempre circondati e pure avviluppati di tessuti. Si racconta sempre il mito dell'ingegnoso uomo primitivo (nel seSso di donna, magari) che inventò la tessitura per la funzione termica di proteggersi dal freddo. Però questo mito appare smentito dalla raffinatezza e complessità che furono raggiunte dall'abbigliamento tessile in tante zone dal clima torrido, dove non ci sarebbe alcun bisogno di coprirsi. Ma già, si risponde che in certi casi, prevalgono certi intenti simbolici. Siano pure simbolici però con l'avvertenza che Non bisogna veder simboli ovunque, la vita diverrebbe impossibile (Oscar Wilde, Salomè, Atto I).

L'umanità non scopre le arti tessili allo scopo di per proteggersi dal freddo e nemmeno per esprimere simboli. Al contrario: è la invenzione della tessitura, nata per gioco e cresciuta per magia, che sarà in seguito eventualmente sfruttata per varie funzioni pratico-simboliche. Questa invenzione del tessile, in sé affatto in-utile e in-significante, ha condizionato invece l'origine del pensiero, cioè la tessitura non nasce dal pensiero ma viceversa: è questo che si origina da quella. Siamo molto orgogliosi del nostro pensiero, che ci porrebbe al di sopra di tutte le altre specie biologiche, e minerali. Eppure le strutture del pensiero, dalla lingue più arcaica fino alla rete globale di Internet, sono astrazioni e traslazioni di strutture tessili, insomma di volgari manufatti.
Ciò è dichiarato nella metafisica del celebrato Popolo Dogon (3) ma è duro da ammettere per molti filosofi: certi eredi del pensiero dei Greci si credono ancora che Atena, che è dea di sapienza e di tessitura, nascesse già armata ed adulta dal cervello di Zeus, sia pur grazie al martello di Efesto: un umile fabbro. E visto che lei, era di nascita, già tanto sapiente, alla dea venne in mente l'invenzione di tessere. Di lei tramanda però, anche un'altra brutta storia: quella avuta con Aracne, tessitrice migliore di Atena e, per ciò e per invidia, trasformata nel Ragno. Comunque, divino o bestiale che sia, il pensiero del tessile ci è molto familiare, come e più della Traviata...
La misconosciuta invenzione delle arti tessili consisterebbe nella creazione di certi legami, quali: il nodo, la maglia e il tessuto vero e proprio, che poi sarebbe il cosiddetto intreccio, incrocio o intersezione di trama ed ordito. Questi termini di "intreccio, incrocio, intersezione" sono mere metafore del concetto primario, che è appunto e nient'altro che "tessuto". Non c' è modo di esprimerlo compiutamente, ma solo per metafore: è un concetto primario. anzi, sarebbe "il" concetto primario.
Nodo, maglia e tessuto non sono affatto legami naturali. In natura si trovano i bozzoli, i nidi, le ragnatele, i grovigli di liane... ma si tratta di insiemi approssimati, non di strutture propriamente tessili e cioè tenute insieme dai predetti legami. Ovviamente, attribuendo a Natura un suo sviluppo storico, i nessi tessili saranno naturali, quanto ogni altro frutto della Evoluzione. Nondimeno in natura, tessono sempre e soltanto gli umani: è proprio questo il valore specifico, nel senso di specie biologica, dell'arte tessile.

L'arte tessile pone dei vincoli (4) tra gli elementi implicati, che sono in sostanza dei fili. Ciascun filo è un flusso omogeneo e coeso di fibre dette tessili, a posteriori. L'introduzione qui, del termine di flusso può sembrare arbitraria e persino tributaria del mito delle Parche, filatrici dei destini. E un motivo ci sarà, se il tempo destinato ci appare come un filo, che si torce in se stesso come il DNA... Filare è un gesto: è una azione corporea, che si è realizzata ancor prima del tessere, ammagliare o annodare, che poi saranno azioni altrettanto corporee, coi relativi effetti mentali. Umano e fatto a mano sarà il risultato, cioè: un mirabile plesso retiforme dove tutto è connesso e tutto si tiene, grazie alle fibre con i loro legami. Un singolo legame in sé, non determina molto, prescindendo dal contesto totale, che è la struttura dove tutto si tiene, grazie ai legami, di mano umana.
Certamente, anche in Natura tutto si tiene nella mirabile armonia del cosmo, ma la struttura tessile è più accessibile e più controllabile dalle normali facoltà mentali, perché è proprio quella che prima, le ha modellate. Le strutture tessili comparvero dapprima nei manufatti, poi si riflessero in vari modi di considerare e di organizzare famiglia, economia, società, lo spazio, il tempo e l'essere in generale... insomma a strutture sempre più mentali e più deprivate, rispetto alla ricchezza esperienziale e cognitiva del manufatto.
Se fummo fatti ad immagine di Dio, abbiamo sempre ambìto alla sua onniscienza. Però dovremmo sempre ricordare che possiamo (o potremmo) comprendere semplicemente delle strutture tessili, non certamente il complesso mirabile della natura, dove interagiscono forze e legami irriducibili a qualsiasi struttura escogitabile dalla mente umana, che formata dal tessile e sul tessile. Per questo, gli antichi raccontano che il nostro apparente universo non è altro che illusione: è come un velo, tessuto da Maya per nascondere e insieme, adornare realtà. In qualche modo eppure, questo velo rivela i fili e le fibre che ha in sé collegati: c'è insomma, un eccesso di senso nella nostra illusione. Sarà proprio questo eccesso di senso e di sensazione ciò che potrebbe guidarci nel nostro illusorio delirio tessil-mentale, che ha questa simpatica caratteristica: rivela, non esclude la natura dei propri componenti, che sono tante fibre disparate. Che sono magari delle fibre artefatte però non di meno, manterranno un Qual materiale, irriducibile al puro legame e di conseguenza, alla pura struttura tessil-mentale.

Tali e tante orrifiche premesse potrebbero forse, indurci guardare le opere tessili di questa mostra, e in generale, con una attenzione diversa da quella dedicata normalmente alla pittura. Perché questa ci presenta delle immagini, forme astratte o concetti con pennellate più o meno omogenee, mentre invece l'arte tessile, presenta se stessa come una coincidenza organizzata di fibre diverse, variamente coese e collegate. Si mostra per un verso, la struttura complessiva, che risulta dalle operazioni di aggregare e collegare serialmente elementi fibrosi. Per altro verso, si mostrano anche i suoi elementi molecolari: ciuffi di lana, fili, ritagli di stoffa, di carta... e via aggregando. Questa natura e fattura molecolare, ha sempre disturbato il gusto classico, per il quale "il bello ha da essere uno", mica molteplice, il che si ottiene più facilmente con la pittura che con il tessile. Francesco Vasari, ammirando certi arazzi tessuti per il Papa, nota stupito che il disegno gli pare non opera di fili ma di pennello. Quel disegno (tra parentesi) era di Raffaello.
Il Vasari è un esponente classico del PinacoCentrismo rinascimentale: il dominio che assegna alla pittura il primato tra le arti, perché solamente il Pittore esprimerebbe appieno l'interiore disegno progettuale, dapprima intuito o concepito nello spirito e solo poi concretamente disegnato. E' sempre ancora il PinacoCentrismo, che oggi infligge complimenti del genere agli artisti del tessile: "ma i Suoi sono dei quadri, non dei tessuti! Lei non è un artigiano, è un artista". Sicché invece, una mostra recente del genere fu correttamente annunziata così: "Sembrano quadri ma sono molto meglio: sono anche tappeti".
L'apprezzamento estetico del tessile presuppone ripetuti colpi d'occhio, diretti a gustare struttura, legami e le singole fibre dell'opera. Esso è purtroppo, oggi molto in ribasso. Oltre al dominio classico del PinacoCentrismo, per altro insidiato dal VideoCentrismo, ancor più deteriore, gli si oppongono i marchi della Moda, che sono il vero oggetto dell'apprezzamento. Ma è sopra tutto, il declino della manualità ciò che impedisce di apprezzare appieno il tessile. Quanto più i nostri gesti si impoveriscono, tanto più si affievolisce percezione tessile, e la sua conseguente Ragion Connettiva.
Oggi ho visto. finalmente dal vero, in museo qui a Lugano, un'esile scultura di Alberto Giacometti, che potrei quasi definire arte tessile, anche se è in bronzo, perché anch'essa non presenta una semplice immagine ma una complessa struttura molecolare. E' una figurina umana costruita con tante pallottole di creta appiccicate l'una sopra l'altra, come gnocchi di pasta schiacciati e con tanto d'impronta del dito. Sicché, la domanda rituale "che cosa vuol dire quest'opera? che mi rappresenta?", è superata da quest'altra domanda: "ma come l'ha fatta?". L'ha fatta, ovviamente a partire dai piedi e con enorme perizia statica. Il che alla fine, può suggerire ed esprimere il precario equilibrio del fragile essere umano... ma per la via del "fare" e dell'appallottolare, non più del "voler dire", del rappresentare e del significare.

(1) Ammirevole plesso retiforme: fantasiosa ipotesi anatomica del medico Galeno, citata da Rabelais in III libro di Pantagruele, Capitolo IV.
(2) Per il Canone Grottesco, vedi Michail Bachtin su Rabelais e radici popolari del Rinascimento.
(3) Vedi i libri di Griaule: Dio d'Acqua eccetera.
(4) Vincolo da "vinco", pianta dai rami flessibili, usata per intessere panieri e per legamenti agricoli, come per la vigna. La pianta è detta in Umbro espressamente "vìngulo".

E®GO IPERBOLICO
3 - 31 luglio 2008
Mya_Lurgo_Gallery, Piazza Riforma 9, Lugano (Svizzera)
Artisti: Eva Basile, Marisa Casellini, Gaia Clerici, Caterina Crepax, Mya Lurgo, Dania Zanotto
Interventi fashion: www.temporarylove.net
Installazione “intimo X versi” del poeta, filosofo Marco Bogliani
Presentazione della mostra: Luciano Ghersi
Sito internet: www.myalurgo.com
Info: + 41 (0)91 911 88 09, E-mail: myalurgo @ gmail.com

sabato 4 ottobre 2008

la trasfigurazione in lezione

la trasfigurazione dei campioni
lezione magistrale

Premessa filosofica e facoltativa

La Trasfigurazione di Cristo sarà pure un miracolo però non lo è di sicuro, la (mia)Trasfigurazione dei campioni. Qui non si contravviene a leggi naturali, come nei veri e propri miracoli: c'è puramente un'operazione tessile.
La tessitura ama la natura, non si sogna neppure di contraddirla, si somigliano troppo: ciascuna funziona per connessione totale dei propri elementi, ciascuna è a suo modo, un "tutto che si tiene".
Non deve ingannarci il disegno mostrato dal tessuto, dal paesaggio, dai corpi: quello è solo di facciata, è una maschera. La vera natura è che "tutto si tiene", come si dice comunemente, non badando alla portata esorbitante di questa banale espressione.
Vero è che la struttura intersecata delle fibre in trama e in ordito, sarebbe un'invenzione puramente umana (1) ma "anche l'uomo è natura" (2), sia pur evoluta o degenere quanto si voglia.
Che siano mai natura e tessitura, cioè la faccenda tutto-si-tiene, può capitare quasi di intuirlo e bene o male, di realizzarlo, nella Trasfigurazione dei campioni. Ciò dà conoscenza incerta ma piacere indubitabile. Cercatori del piacere o della verità, mettiamoci d'accordo, almeno sui campioni!
Ogni campione è sempre un modello: il campione sportivo è un modello di perfezione atletica, il campione industriale è un modello del prodotto effettivo. I campioni non sono perfetti in assoluto, un ulteriore controcampione potrà sempre superarli... è un discorso alla Popper, insomma: l'esperimento è valido soltanto se è oppugnatile, altrimenti sarebbe un dogma assoluto. Ciò sarà pure relativismo ma è più tollerabile di ogni assolutismo... e niente miracoli, grazie: tutto perfettamente naturale e, già dunque, è magico abbastanza.
Avrei voluto da grande, fare il filosofo. Sarà per ciò che ora faccio il tessitore, che mi pare ancor meglio: i fili sono meglio dei concetti, sono anche più antichi... ma nessuno è perfetto, proprio nessuno, neppure i campioni, come s'è appena scritto: E basta così.

Lezione tecnica e obbligatoria

Si tratta qui in realtà, dei campioni di tessuto industriale: ciascun campione è un esperimento di come si accordino insieme tanti fili diversi, di materiale, consistenza e colore differenti. Ciascun filo ha un suo carattere, sicché a volte si trovano accordi perfetti, altre volte sono proprio incompatibili e vengono fuori dei campioni falliti.

Non so perché li chiamino "campioni a fazzoletto": sono molto più piccoli di un fazzoletto normale, non sono neppure quadrati: ciascuno è un rettangolo di pochi centimetri. Ciò che importa è che quei fazzolettini se ne stanno tutti uniti in un lungo telo a scacchi, dove ciascuna casella è diversa da tutte le altre, magari di poco ma è un campione differente.

Così il telo dei campioni a fazzoletto è il contrario di una stoffa da arlecchini, può somigliarle superficialmente ma è proprio diverso nella struttura. Una stoffa Arlecchino è costruita "a posteriori" cucendo insieme tanti ritagli di stoffe diverse. Il telo dei campioni è invece tessuto "a priori" come unica grande pezza di stoffa: si tiene insieme fin origine. Poi ci si aprono delle finestre, perché certe caselle si tagliano via: sono loro i campioni prescelti, avranno il premio di andare in produzione.

Così il telo dei campioni è un pezzo unico dall'aspetto molteplice, che però non può dirsi caotico. Lo si direbbe meglio variegato perché è effettivamente, un complesso di varianti imparentate tutte tra loro: ha certi ritmi riconoscibili, nel flusso dei fili che si collegano, in varie armature, fra trame ed orditi.

Una metafora cara ai linguisti, racconta che l'ordito generale ed astratto di una qualsiasi lingua si concreta in trame particolari, cioè in testi enunciati effettivamente. Parimenti si può dire che ogni telo di campioni trascelga alcune voci di qualche ipotetico verbo (io tu egli... amo amai amerò... amerebbero, fossimo amati...). Il paradigma di questo verbo tessile è ancora più arbitrario di quelli linguistici ma non è certo libero assolutamente: ogni arbitro giudica e sceglie rispetto a certe norme. Qui innanzi tutto, il Primo Arbitro, cioè chi progetta i campioni, sarà condizionato dalla precisa "cartella colori" che la moda gli detta ogni nuova stagione.

Giocata la partita dei campioni e di qui, ritagliati i campioni vincenti che saranno promossi in produzione industriale, il telo superstite è affidato al tessitore artigianale, perché lo faccia a pezzi e in qualche modo lo ricomponga con il suo telaio a mano, magari con la scusa di farci dei tappeti. Il tappeto comunque, non è ciò che si pensa.

Per realizzare i cosiddetti tappeti (o cosiddetti arazzi, se preferite), si celebra un atro processo arbitrario, che è soggetto ugualmente ad altre regole: Scompositive e RIcompositive. La prima regola Scompositiva prescrive sempre di sezionare un telo per il verso dell'ordito. E' una regola assai ragionevole perché innanzi tutto, si ottengono stringhe assai più lunghe di quelle che invece, si ricaverebbero sezionando tutto il telo per il verso della trama. Si può caricare così ogni spola da tessere con una intera stringa, e dunque poi tramarla senza interrompere il flusso del "filo".
Le stringhe caricate sulle spole, differiscono tra loro rispetto a quei colori nell'ordito originario: ciascuna ha quel colore più o meno dominante. Qui il tessitore fa da Secondo Arbitro disponendo la sequenza delle spole (cioè dei colori), secondo il suo gusto e le sue regole Compositive: accodi e contrasti cromatici, simmetrie vere o false, oltre ai suoi vari totem culturali ed eventuali tabù formali.
Ma tutto è sottomesso alla regola maestra di tessere tutto, cioè senza escludere alcun elemento di un telo. Perciò certi pezzi o tappeti risulteranno più lunghi ed altri più corti: tutto dipende del telo di origine. Certi teli troppo corti, li si tesseranno insieme dentro a un unico pezzo, con ulteriori scelte o regolette.
Fin qui pare tutto ovvio: si tratterà in sostanza di un tappeto a fasce, il che è come dire a grossolane righe. Ma, pur avendo un suo ordito dal colore costante, ciascuna fascia o stringa non è mai omogenea cromaticamente e neppure del resto, materialmente, perché nella sua trama originaria si susseguono colori e fibre differenti. Questa sequenza è identica per tutte le stringhe del telo sottoposto a sezione. Così che poi, nel flusso delle spole, organizzato ora dal Secondo Arbitro, all'interno di ogni fascia compare un altro flusso: è la sequenza dei campioni originari, già organizzata da Primo Arbitro, con le sue regole di progettare un paradigma analitico di tessuti possibili, non un vero e solo tessuto. La sequenza compressa in ogni fascia rivela sempre gli stessi ritmi interni, che perciò si ripetono per ogni fascia, tra le variazioni dell'ordito variante.
Questo genera un ritmo complessivo, una composizione dove tutto-si-tiene, che per il Secondo Arbitro era solo vagamente prevedibile. E questo è il mistero della Trasfigurazione, che non significa tessere a casaccio e neppure obbedire a un disegno ma è piuttosto Coincidenza Organizzata.

(1) E' anzi il fondamento (e non certo il risultato) della cosiddetta sapienza dell'Homo Sapiens. Vedi "L'Essere e il Tessere" 2.2, Homo Textilis.

(2) Vedi Bruno Munari in "L'Essere e il Tessere" 10.4.1

Atti IV e V