La leggenda del Santo Tessitore - Versioni di Kabir
Testo pubblicato su carta in TessereAMano 01/2015. Qui
sul Blog posso raccogliere anche molti presunti ritratti di Kabir, i
quali mi pare rispecchino pure la sua identita molteplice di Autore
Collettivo. Posso citare soltanto l'Autrice del disegno in copertina al
libro di V. Dharwadher "Kabir The Weaver's Song": si chiama Aparna Caur.
Sunteggio francamente da Encyclopaedia Britannica: Kabir,1440-1518, poeta-santo iconoclastico indiano, venerato da Indù, Musulmani e Sikh. Soltanto due aspetti della sua biografia sono certi: visse in prevalenza a Benares e fu tessitore di una casta inferiore (julaha) che era all'epoca ampiamente islamizzata. Sebbene Kabir sia spesso descritto come un armonizzatore delle credenze e pratiche Indù e Musulmane, più preciso sarebbe affermare che fu egualmente critico di entrambe, considerandole spesso come due cattive strade parallele. Ciò che realmente conta per Kabir è la fede dichiarata nell'unica immortale verità della vita, che egli associa egualmente con i nomi di Rama e di Allah.
Per sollevare il velo di undertstatement
britannico, varrà meglio citare qualche esplicito aforisma, osservando
solamente che "maestro", nel linguaggio di Kabir, è il Divino in
rapporto diretto, senza alcuna mediazione di guru e sacerdoti, rituali e
testi sacri, che egli satireggia anche pesantemente.
I grandi se ne vanno con la loro grandezza, - ogni pelo rizzato dalla vanità.
Ignoranti del vero Maestro - le Quattro Caste sono come l'Intoccabile.
Sono stato alla Mecca in pellegrinaggio - ma sulla strada ho incontrato Dio
che attaccandomi briga mi urlava: - "Chi ti ha detto di andarci?"
Sapienza di sopra, sapienza di sotto - sapienza e destra e a sinistra.
La sapienza che sa cosa sia la sapienza - per me quella, è sapienza.
Ciascuno capisce la singola goccia - che si fonde nell'oceano.
Uno solo in un milione lo capisce - l'oceano che si fonde in una goccia.
Cara ragazza ascoltami! Vive il mio Amato nell'Anima mia - o la mia anima vive nel mio Amato?
Non lo so: che cos'è la mia Anima e che che cosa il mio Amato? - Cos'è dentro al mio corpo? la mia Anima o il mio amato?
Da secoli Kabir, nonostante i suoi espliciti messaggi, è
venerato come guru massimo, santo e àvatar divino... ma è pure un vero e
proprio nome collettivo, proprio come Luther Blissett: è un'autorità
assoluta di assoluta anarchia, dagli aspetti variamente sovversivi, sia
socialmente che spiritualmente, così come si addice a ogni mistico che
si rispetti, a qualsiasi latitudine di fede lo si ascriva. Sotto il nome
collettivo, con la formula inserita in ogni testo: "Kabir dice...", è
cresciuto un corpo sconfinato di varianti e plausibilmente, di nuovi
canti, a lui tutti parimenti attribuiti... però distribuiti
differentemente entro varie raccolte di testi, sacri rispetto a fedi
divergenti. Le canzoni e gli aforismi di Kabir sono stati (ed ancor
sono) recitati e cantati in decine di lingue e di musiche diverse, tutti
scritti (quando e se) in tre almeno, alfabeti differenti.
Se la fortuna letteraria, musicale e spirituale di Kabir è
immensa in India, essa arriva all'Occidente con poche traduzioni,
inaugurate dal celebre Tagore, indi seguite dal Pound famigerato. In
italiano, trovasi soltanto il libriccino Kabir il flauto dell'infinito (Passigli
Editori, 2008), curato da Ghanshyam Singh (già collaboratore del
famigerato Pound). E da quella antologia, la poesia inaugurale (Kabīr-vānī, pada 1)
O servo, dove mi cerchi?
Guarda! io ti sono vicino.
Non sono nel tempio né nella moschea:
non mi troverai nei riti o nelle cerimonie,
né nello Yoga o nella rinuncia.
Se mi cerchi davvero
mi troverai subito. Dice Kabir
"Dio è l'alito di ogni respiro"
Questo testo emblematico è sempre e dovunque citato però è
un caso rarissimo in Kabir perché qui il divino si esprime in prima
persona (io)... anche se si può obiettare che (il) divino è Kabir stesso
ed esso perciò si autoenuncia comunque in qualsiasi suo testo. Dopo
tante inevitabili premesse, arrivo all'aspetto professionale di questo
singolare santo tessitore, che può giustificarne l'autorevole presenza
dentro questa rivista, che non tratta di mistica o letteratura ma
apparentemente di tessitura e di arti tessimili. Nel 2011, inserivo
un'icona di Kabir nel mio raro catalogo bilingue Plastic Hali, from Form to Formless Form (www.pdfcast.org). Iscrivevo nell'icona un brano dal Kabir di Tagore, che tradurrei così: "C'è chi contempla ciò che è senza forma - e chi medita invece sulla forma - ma il saggio sa che Brahma sta oltre tutt'e due."
Ma lì si accennava in sostanza ad esperienze plastiche nel disegno
tessile, se e quanto sia esso mentale, cerebrale o psicofisico... la
famosa ispirazione di cui sopra.
Dacché dismisi ogni disegno tessile, mi sento
ulteriormente autorizzato a proporre una versione personale di due
poesie "più tessili" del mio venerando collega, ritradotte alla meglio
dalla versione Inglese di V. Dharwadher in Kabir The Weaver's Song (Penguin Books, 2003-14, da cui pure gli aforismi succitati). Avverto solamente che la casa
(Pound non c'entra, come al solito), lasciata in baraonda dal tessitore
umano (nella prima poesia) ma che poi reca i segni di quello supremo
(nella seconda poesia), "casa" è nel corpus kabiriano una corrente
metafora del corpo, più o meno sottile che sia. In proposito, ometto di
tradurre "La tela bella bella" (in Kabir Vachanāvalī, bhajan 223), per
i suoi (per me) difficili riferimenti yoga... o sufi, chi lo sa? Nel
multiplo Kabir, non sai mai con precisione: ad esempio, quel "servo"
tradotto più sopra da Singh, secondo Dharwadher è un friend, un amico; Ed ancora, dove il primo traduce seccamente "Dio è l'alito di ogni respiro", il secondo: "Listen o brothers, He's the very breath of our breath",
insomma ci interpella ed affratella. Comunque sia, la canzone che non
dico, la canzone della tela bella bella, si trova su Youtube: Jhīnī jhīnī bhīnī... nelle più disparate orchestrazioni, come appunto si addice a Kabir.
Perché (scrive ancora Dharwadher):
Perché (scrive ancora Dharwadher):
"Quando il tessitore lasciò la sua casa, lasciò il suo
tessuto non finito nel telaio con fiabe, allegorie, sermoni, satire,
aforismi, indovinelli e canzoni, tutte tirate come un ordito "in
progress". Nei secoli che seguono la sua dipartita, i suoi collaboratori
hanno viaggiato fino alla sua bottega e si sono impegnati al suo
telaio, divaricando e scegliendo, battendo nella trama filo dopo filo,
completando quel grande disegno che egli aveva cominciato." E' bravo il Dharwadher! merita un'ulteriore citazioncella, prima di offrire le due promesse chicche traduttive:
"Negli anni 60, Jacques Derrida, Roland Barthes e Julia Kristeva, tra gli altri in Francia, scoprirono che la parola testo
contiene la metafora di "tessile", permettendoci di vedere un testo
come un tessuto, di qui come una istanza di testualità, un insieme di
testi come un tessuto continuo, di qui come una vasta macchinazione o
struttura ideologica. Ma già secoli prima, in Kabir..." eccetera eccetera ed ecco le chicche:
Ādi Granth, Rāga Gaudi, Shabad 54
Il tessitore aveva pensato
Mi tesserò un corpo per me stesso -
ma questo desiderio poi non realizzò
e uscì di casa con grande frustrazione.
Nove metri, dieci metri, ventun metri
tanti per fare il lungo della stoffa.
Porto sessanta fili nell'ordito,
in nove bande di colore collegate,
più settantadue fili extra, in cimosa.
Lui misura il metraggio ma non può
lui calcola il suo peso ma non può -
e gli servono ancora cinque libbre di bozzima.
Quando chiede per la bozzima e non la trova pronta
pianta in casa una terribile scenata.
padrone in casa sua,
siede al telaio tutta la giornata
ma alla fine si arrende, disperato,
Perché ho perduto questa occasione?
Abbandona i suoi vasi della bozzima,
le sue spolette ancora tutte umide
e se ne scappa di pessimo umore.
Non c'è filo che scorra
dalla navetta vuota
Non c'è bocca dell'ordito che si apra
per catturarlo e batterlo -
l'ordito s'è imbrogliato per i licci.
Kabir dice:
Lascia perdere il garbuglio,
che quella voglia misera
rimanga insoddisfatta!
Ādi Granth, Rāga Āsa, Shabad 36
Non ne indovini uno
dei suoi segreti di Tessitore:
ci ha messo solo un attimo
per tirar fuori tutto l'universo
dal suo telaio.
Mentre tu restavi qua
ad ascoltare i Veda e le Scritture...
io me ne andavo là
a distendere ogni filo del mio ordito.
con il cielo e con la terra
ha piegato sole e luna
per farsi due spole gemelle.
E quando sotto sotto, ha messo in moto
la coppia dei pedali
la mia mente ha realizzato
che è un maestro tessitore.
i segni di un tessitore,
proprio dentro da me, in casa mia
ed in un lampo, lo ho riconosciuto
come Rama, il divino.
Kabir dice: Ho sfasciato il mio telaio:
solo Lui, il Tessitore
1 commento:
é sempre un grande piacere leggere i tuoi stimolanti sfilacciamenti di meditazione tessile,
sono dei piccoli lampi che ordiscono incessantemente le sottili trame di una sovversione in continuo divenire
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