Luciano Ghersi, 2013
Più di trent'anni or sono, un noto
gallerista milanese mi offrì di allestire una mostra dei miei lavori tessili,
che in sostanza erano tappeti ma già allora si mostravano diritti come arazzi o
tappezzerie murali. In quel torno di tempo, anche il noto Missoni esponeva a
Milano i suoi arazzi, che in sostanza erano Quilt cioè come dei mosaici, composti da ritagli
della sua pregiata maglieria.
I cosiddetti Arazzi, di Missoni o miei,
erano allora (e tuttora) articoli insoliti a mostrarsi in gallerie, cioè in
ambienti destinati alle mostre di pittura. Forse per questo, il gallerista mio
mi propose di comporgli un breve saggio esplicativo, che poi fu intitolato "Cosa
mostra questa mostra"
1) ed imposto agli
ignari visitatori. Non ce la si fece lo stesso: fummo sconfitti dalla spietata
legge di mercato, che recita: "L'arazzo non si vende che da Lugano in
su."
Pure in quest'altra mostra di Arazzi nei Palazzi, in
sostanza ci mostro dei tappeti, sebbene etichettati come opere tessili (mai più
come Arazzi), ed altre opere tessili come: una poltrona, una bicicletta e un
piccolo telaio da tappeti, concepito e costruito da me stesso, e dunque opera
tessile di tessitore (ed opera importante forse più del tessitore, come qui si
potrà leggere).
Occorre forse intendersi sul termine "tappeto" e su quello di "arazzo". Per le sue modalità di installazione, Tappeto è un'opera tessile che sta principalmente
sopra un pavimento e, nelle culture nomadi, al suolo di una tenda, cioè tendenzialmente
orizzontale. Arazzo
invece, è un opera tessile che si espone verticale come i quadri e la pittura
in genere, questa regina delle belle arti, che sono distinte dalle arti
applicate, dette anche minori... ma senz'altro inferiori. L'Arazzo evoca l'Arte
per il suo rapporto equivoco con la pittura (sul quale torneremo) mentre invece
il Tappeto ci fa pensare inequivocabilmente all'Artigianato. il mio problema di
reputato artista è che ho sempre cercato di raggiungere il livello creativo di
un autentico artigiano... ma a parte la questione personale, l'equivoco è
storico e culturale.
Si sa che l'Homo Sapiens si allontanò
dall'utile (dal cosiddetto Utile) nel Paleolitico: con l'invenzione del celebre
scalpello, che fu letteralmente e forse, letalmente, la prima pietra della
cultura umana... anche se pochi umanisti sono disposti ad ammetterlo. L'Homo di
allora non aveva affatto il fisico né dentatura né apparato dirigente del
Predatori ma volle imitare i carnivori e probabilmente, ingraziarsi la femmina.
Allora si inventò di scheggiare le selci, ottenendo quel margine tagliente che
gli permise di scarnificare le carogne avanzate dai Predatori autentici. Da ciò
proviene il Mito dell'uomo cacciatore... che di fatto era soltanto uno
sciacallo, con la protesi dentaria del suo ciottolo scheggiato in ossidiana. Ma
si vede che alla femmina esso piacque, insieme coi brandelli di carcassa che
l'erano offerti, sicché il Mito e il Tipo del cacciatore si perpetuarono. E'
naturale sì... ma è indubbiamente pure culturale.
il Tappeto ha invece la sua origine nelle
culture nomadi che, esattamente come certe Arti, sono ovviamente stimate minori
o inferiori. Sembra che i Nomadi inventassero il Tappeto con l'obiettivo
"utile" di isolarsi dalla fredda superficie delle steppe. I Nomadi
non usano di sedie, che sarebbero d'ingombro al nomadismo equestre o
cammellato, ma preferiscono sedere a terra con le gambe incrociate, sopra
tappeti appunto, che gli scaldino le natiche (l'avvento delle sedie sarà
indagato oltre).
Intanto osserviamo che i Nomadi hanno pure
dei tappeti esposti in verticale alle pareti della tenda. Ciò banalmente, può
giustificarsi col succitato isolamento termico. Ma i Nomadi hanno tappeti
ulteriori, che essi cuciono in foggia di sacchi, ove stivano granaglie,
indumenti e ogni loro fabbisogno per la vita quotidiana. Quando i tappeti a
sacco non vanno su cammello, possono stare ritti nella tenda, tutti accostati
come un colonnato, panciuto e poìicromo, che funge pure da parete attrezzata, non essendovi cassetti né
mobilia nelle tende.
Essi fanno per sè altri tappeti, acconciati
come borse, selle e articoli molteplici, per la cui utilità non sarebbe
necessario di essere tappeti. Ma l'essenza di Tappeto è loro necessaria per dei
motivi inutili, cioè culturali.
Si può dire che le culture nomadi, dal
Mahgreb alla Siberia, siano tutte ossessionate dal Tappeto, che esse nutrano
per esso una morbosa attrazione culturale. Il succitato isolamento termico è
soltanto un pretesto funzionale: un po' come l'automobile o il telefono mobile,
che sono pure oggetti più che altro culturali ma che, oltre l'efficacia
normativa e identitaria , sono scarsamente utili e persino nocivi... per lo
meno rispetto ai tappeti, che non hanno mai fatto del male a nessuno, se non
quando arrotolati per nascondervi un sicario.
Al principio, il Tappeto fu artifizio delle
femmine, che manipolavano, tingevano e tessevano il pelo del bestiame di
famiglia. Quest'artifizio piacque, sicché si perpetuò, assurgendo a livelli di
estrema raffinatezza. Infatti, alcuni dei rozzi Pastori, da capifamiglia che
erano, poi vennero a capo di imperi: dalla Cina alla Persia e la Turchia, fino
in Andalusìa. E tutti ancora e sempre, con la fissa del Tappeto, però sempre
più prezioso e raffinato: sfoggiare il lusso era allora imperativo. Inoltre
mentre prima, su dal fondo dei tappeti primitivi, emergevano segni e disegni
femminili, invece dopo, all'epoca Imperiale, le femmine furono al massimo
addette al lavoro manuale: ogni
disegno fu compito esclusivo di artisti e pittori di corte. Il disegno del
tappeto fu da allora concepito mentalmente, poi tracciato ed espresso su carta
ed infine ricalcato, nodo a nodo, nel tappeto. Una rivoluzione culturale
insomma... con il mito del potere imperiale in filigrana e in superficie: ci si
afferma il fallo/logos, il fallogocentrismo di Derrida e soci.
Gli Arazzi invece, stanno proprio di casa
nei palazzi del Potere, o pure in
Chiesa, non fa molta differenza: sempre in possenti opere in muratura e rappresentative
di un potere verticale. Sicché pure gli arazzi, tutti quanti sull'attenti. mai
più giù come tappeti.
Dalle chiese e palazzi, gli arazzi si
spostavano pure. Corbusièr che, a suo garbo, disegnò vari arazzi, sostiene che
un arazzo è "l'affresco portatile per i nomadi moderni": colti e
stimati professionisti, soggetti anche a migrare per appartamenti urbani. Per
loro, l'arazzo sarebbe una sorta di pittura pieghevole, che può arrotolarsi
come uno schermo video e trasferito ad altra dimora. Questa storiella
promozionale non si è poi rivelata troppo convincente, per lo meno non a sud
di Lugano, come seppe il
gallerista milanese... che però era svizzero. E fu proprio l'origine svizzera
che l'indusse al gesto sconsiderato di presentare a Milano una mostra di arazzi
per quanto, sotto sotto, si trattasse di tappeti.
Sostanzialmente, a differenza del Tappeto,
l'Arazzo non è ma racconta soltanto. Il Tappeto può mostrare certi
concreti segni tribali oppure aleatori individualmente... ma sempre decifrabili
accademicamente da semiologi, antropologi o psicoanalisti...). 2) Al contrario, l'Arazzo non manipola segni
concretamente materici ma disegni pittorici, per il cui mezzo rappresenta una
storia e più volentieri un Mito, cari comunque al committente dell'arazzo. Tal
era infatti, la storia dell'Arazzo. Quando poi l'Arte Contemporanea si affrancò
dal servaggio ad ogni forma e tecnica, pure l'Arazzo le teneva dietro. Così
come la Pittura, pure l'Arazzo perse il suo sussiego di raccontare Storie e
rappresentare Miti. Dopo il crollo degli Imperi con i relativi Miti, il Potere
si redistribuisce periodicamente non più con periodiche guerre o usurpazioni ma
di preferenza, con manovre finanziarie. Di violenza ce n'è sempre ma non deve
comparire sulla scena, questa è tutta impiegata per rappresentare il possesso
di oggetti di valore, il che dà sempre Credito perché lo presuppone. Dal
tramonto degli Imperi, il nuovo mito non è sangue né oro ma più semplicemente,
un luminoso Credito... sempre insieme con l'oscuro ma indispensabile Debito.
L'opera d'arte corrente di conseguenza, si adegua ed attesta
il Mito moderno del Credito. Il suo valore consiste nel credito d'Autore: nel
di lui prezzo quotato in mercato. Ciò non ostante, l'autonomia creativa dell'Artista (corrente o fuori corso
non importa) oramai è assoluta per principio, pure nel caso si creino degli
arazzi. Sicché oggi, per gli Arazzi nei Palazzi, le artiste compagne di mostra mostrano raramente
arazzi veri e propri, tipo quelli di Carlo il Temerario... né mi dispiace affatto.
Quando Carlo il Temerario di Borgogna
trasferiva la sua corte nei siti più opportuni alla conferma del proprio
dominio, si portava arrotolati i propri arazzi e colà li tendeva e ostentava
opportunamente: nelle foreste dove gli rizzavano i suoi padiglioni di caccia o
in grandi piazze addobbate a tornèo. Non c'era ancora cine né televisori, il
popolo guardava a bocca aperta, se ne impressionava e, apprezzando ogni disegno
e il prezioso lavoro impiegato per realizzarlo, era indotto con dolcezza
all'obbedienza di Carlo il Temerario suo signore. Poi l'arazzo giocò un ruolo
rispettabile sulla scena del potere rinascimentale, barocco e fin anche
sovietico. Più di recente, gli arazzi si appendono pure dentro le Banche. Una
celebre arazziera contemporanea deve in parte la fama al suo matrimonio con il
Direttore di una Banca di Stato. Però la mia scelta di esporre tappeti, invece
che arazzi, in questa mostra Arazzi nei Palazzi, non è meramente politica.
Non ho esperienza tale da produrre un
tappeto perfetto a regola d'arte tradizionale. Né mi curo più fibre o di
tinture di naturali: ogni materiale è buono, a partire dal più vile, dagli
involucri in plastica evacuati dal circùìto dei consumi come rifiuti, fino agli
stracci più o meno preziosi... ma sempre stracci sono, indiscutibilmente. Credo
che l'Arte (mi si passi la parola) non possa limitarsi al trattamento di
materiali nobili e possibilmente durevoli: qualsiasi materiale è compatibile
con l'arte, pur lo sterco di elefante presentato in Venezia alla Biennale.
Il trattamento artistico (diciamo) degli
stracci e persino della plastica non è una mia trovata avanguardista o
ecologista ma è invece, una pratica corrente nell'arte tessile contemporanea di
officina popolare. Attenzione: un "Boucherouite", che è il tappeto di stracci di uso popolare
nel Marocco, può oggi valere migliaia di euro, pure se gravemente danneggiato.
Se Boucherouite è una tipologia, in questa mia mostra ce n'è vari esemplari:
anche la Bicicletta cui accennavo sopra, è a suo modo un Boucherouite... ed è
pure un pezzo autentico perché è realmente e lungamente usato, fabbricato per
gli usi di famiglia, non per un committente né per un mercato. 3)
Tornando propriamente sul Tappeto, per
quanto mi concerne, non eseguo un disegno preventivo ma sviluppo solamente
certe tracce di figura tra le varie brulicanti allo stato nascente del tappeto.
Non sono neppure ispirato da moduli figurativi tradizionali sebbene ne emergano
spontaneamente, perché sono provocati dall'apparato statico e dai ritmi
dinamici del telaio stesso. E' lì che sta il cuore della creazione ed è ad esso
che cerco di adeguare i miei gesti operativi... altrimenti, non si suona di
strumenti.
C'è un processo creativo squisitamente
artistico (mi passi l'equivoco aggettivo), che si esprime nella tecnica
gestuale di annodare e di tessere un tappeto, anche se, e soprattutto se, non
si tratta di copiare dei disegni programmati sulla carta. E da artista, quale
sono reputato, fui sempre appagato e spiritualmente felice nell'applicarmi al
mestiere dei tappeti. Per questo ho ritenuto che valga la pena di esporre i
miei volgari tappeti in questa mostra di Arazzi nei Palazzi.
I tappeti che ho sospeso nella Sala dei
Ritratti sono anche un omaggio a Bruno Munari. Per l'equilibrio dei mobili
sospesi, ho infatti utilizzato una tipologia di Macchina inutile inventato da
Munari (e non da Calder). Ho aggiunto l'accessorio di un ventilatore, per
movimentare la scena, e una colonna sonora che spero gradevole, realizzata dal
mio Musico in totale autonomia. La scelta di installare tappeti diciamo,
volanti nacque dal fatto che questi lavori hanno due facce come le monete.
Sicché, mentre che girano, si possono ammirare tutte e due le facce, infatti
quel lavoro è chiamato Double Face. Questi tappeti (tecnicamente: "Kilim") sono pure traslucidi perché sono fatti di
film trasparente per imballaggi, più o meno colorato ma sempre di recupero. Con
l'opportuna illuminazione, si dovrebbero ottenere effetti controluce,
rifrazioni e proiezioni sulle pareti. Le pareti alla Sala dei Ritratti sono
particolari, contenevano in origine i ritratti di famiglia dei padroni del
palazzo.... il che rese questa sala l'ambiente più uggioso per tutti gli
ospiti, sebbene fornito di un enorme camino, di officina dubbiamente
palladiana.
Oggi però, tutti i quadri sono stati
rimossi e ne restano soltanto delle cornici bianche, modellate alla parete con
lo stucco. L'unico piano liscio in tutte pareti è appunto il vuoto lasciato dal
quadro, tutto il resto non è altro che una griglia delirante di modanature, di
officina forse tardo-palladiana. A 8 metri di altezza, oltre i tappeti che
girano per l'aria, c'è una volta incombente di affreschi rutilanti, che terrei
ad oscurare. Rimuovo anche i tendoni da soffitto a pavimento, tutti graffiti di
scritture palladiane ma che velano i vani delle finestre con certi antichi ed
imponenti caloriferi, sicuramente post-palladiani.
Per descrivere la nuova situazione che si
andava costruendo in questo ambiente, ho scritto al Musico che mi chiedeva lumi
per sonorizzarle il set, questi appunti in forma di poesia.
La
pittura non c'è più
ora c'è la tessitura.
I
signori sono estinti
come i grandi dinosauri
Ai
palazzi del potere
son volati i tappeti come rondini,
dalle
tende dei Nomadi
di Mahgreb o di Mongolia
ma le
greggi son scomparse
non ci resta che la plastica.
SALA SUCCESSIVA
La Sala Successiva contiene ciò che Alberto
Boralevi (autorità mondiale in fatto di tappeti) ha chiamato il Tappeto
Bicicletta. In sostanza è
una bici di recupero, rivestita con cascame di cimosa delle stoffe industriali.
il cascame si presenta in origine come una lunga striscia, alta un pollice
circa, che fa un nastro peloso e sfilacciato. Avvolgendo strettamente questo
nastro sulla bici, ho effettivamente ottenuto un tappeto con in pelo in rilievo
e assai confortevole nell'inforcarlo. Purtroppo il prolungato uso ciclistico
per una bella e fètida città d'Italia, lo espose al sudiciume metropolitano.
Nonostante i lavaggi, il colore originale, di rosa ben sgargiante ha sbiadito e
incupito mentre il pelo ha infeltrito. L'effetto originario, si intravede ora
soltanto nelle zone sottoposte a restauro integrativo con inserti dello stesso
cascame originale.
La bici è il veicolo tipico della libertà,
che è pur libertà di tessere tappeti volanti: Come? tanto per cominciare,
facendo volare la fantasia, fluidificando gli schemi mentali. Ma questo non
basta, occorre pure sentire la bestia o diciamo la materia o diciamo le forme
vitali ben presenti nei fili, ignorando progetti e disegni precostituiti. Come
s'è accennato sopra, tutto questo processo produttivo si focalizza all'interno
del telaio, il cosiddetto telaio tribale, che, in formato ridotto, sta esposto
nella Sala ed, in formato ancora più ridotto, emerge come icona dal disegno
informale di un altro tappeto qui esposto, che ha un titolo teatrale: Il
Telaio nel Telaio.
A parte la bici, che può sempre montarsi e
pedalare, tutti i tappeti esposti in questa sala sono dunque volanti com'è
appena descritto, però stanno fissi al muro come degli arazzi. Soltanto un tappeto
obbedisce al suo ruolo originario di Tappeto e se ne sta disteso quasi giù per
terra: su di una pedana. Avrei fatto anche a meno di questa pedana, mi è stata
imposta per motivi espositivi, perché servisse a distanziare il pubblico da
un'opera ulteriore, pungente e rischiosa. E' una poltrona in ferro, che ho
tappezzato con certe falde in filo spinato, da me stesso tessute in precedenza,
grazie al classico e tribale telaio da Tappeto. Questo lavoro si chiama la
Quarta Poltrona del Buon Governo perché le prime tre stanno dentro al Giardino di Daniel Spoerri, che è
un noto parco di arte moderna. Invece questa quarta ha dimora nel Giardino di
Ghersi a Porchiano, in compagnia di molteplice verdura. Poltrone di Governo
chiaramente non agibili, perché forse il buon Governo risiede nel non-agire,
come sta scritto nel Libro del Tao... o forse ogni Governo è di per sé malvagio.
Qui però, sulla pedana c'è dell'altro: un tappeto è inserito sotto alla
poltrona. Secondo quanto scrive Sheila Grunico:
"Nel suo Tappeto Sottoposto a
Poltrona, certamente
l'Artista volle alludere alla storia involutiva di quell'umanità, che abbandonò
la tradizionale postura accosciata (a terra, con o senza tappeto), per ridursi
ad assumere la sedia come mezzo di riposo e di lavoro. Chi oggi siede a terra è
guardato con sospetto, quasi avesse intenzione di meditare, di mendicare o di
commettere azioni vergognose quali, ad esempio, massaggiarsi i piedi,
sdraiarsi, magari a dormire di fronte a tutti... azioni che tra Nomadi e non
solo, sono invece frequenti e rispettabili.
In origine, la sedia era un puro arredo di
governo, riservato in esclusiva alla classe dominante per sua postura rigida
nel cerimoniale. Da troni e da cattedre, tale postura poi divenne universale:
fu un successo democratico e sociale? No, è piuttosto il retaggio maledetto di
una classe abominevole, che è giunta a modellare il corpo di ogni suddito a
propria immagine e somiglianza... "Oggi s'è arrivati al punto che un
tappeto è sempre messo sotto i piedi", sembra concludere, amareggiato, l'Artista." 4)
NOTE
1) Ristampato in L'Essere e il Tessere,
1.7.
2) Paul Vandenbroeck,
Marija Gimbutas ecc. Azetta. L'art des femmes berbères, Société des Expositions du Palais des
Beaux-Arts, 2000.
3) LG, Dove volano gli stracci, in Stile Libero, Verolino 2012.
aa
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